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sabato 28 marzo 2009

Preparandoci al "Varietà" ...per non parlare di cose di cui non conosciamo il significato...

"varietà [varje'ta]

s.f.inv.
1 sf
la qualità di cose diverse tra loro o differenti solo in alcuni particolari aspetti
3 sf ogni singolo oggetto o individuo dotato di caratteristiche che lo differenzino da altri della stessa specie
5 sm
spettacolo teatrale di carattere leggero composto da numeri di vario genere
"





 Su Wikipedia, alla voce Varietà, si legge:"Il teatro di varietà, o teatro di arte varia, è un genere di spettacolo teatrale di carattere leggero nato alla fine del XIX secolo a Napoli come imitazione del Café-Chantant francese. [...] Il varietà affonda infatti le sue radici nello spettacolo popolare e nelle esecuzioni degli artisti circensi, di strada e dei cantanti. [...] scomparso dai teatri per confluire nell' avanspettacolo prima e nella rivista poi, conserva oggi nei varietà televisivi unicamente il nome."


Il Varietà ha dunque natali partenopei, essendo frutto di quella che a Napoli fu un naturale assorbimento e riadattamento della cultura Francese: Napoli è stata francese per due volte nella sua storia ( 1266/1442 e 1806/1816), e comunque per un periodo relativamente breve rispetto alla dominazione spagnola ( durata in tutto quasi quattrocento anni), ma l'influenza d'oltralpe è stata vasta e significativa.

Dilungarci in disquisizioni riguardo contaminazioni culturali e/o linguistiche sarebbe fuori contesto, e comunque necessiterebbe di un blog a parte!
Mi riferirò dunque a piccoli sprazzi e brevi esempi, tanto per non arrivare impreparata al confronto col copione di "Sognando il Varietà".

Sia da esempio, per il contesto teatrale, l'esperienza di Eduardo Scarpetta, che a partire dal 1880, ha riletto in chiave piccolo-borghese partenopea le Pochade francesi dell'epoca: ricordiamo, tra le tante,"Mademoiselle Nitouche" di Weilhac e Milland diventata " 'Na Santarella", e "La Boule" di Meilhac e Halévy diventata "'O Scarfalietto".

Le abitudini francesi sono quindi di moda nella Napoli dell'Ottocento, nel vestire, nel parlare e nella frequentazione di caffé culturali o meno, anche per gli strascichi Murattiani di inizio secolo.

La figura della Sciantosa ( da chanteuse = cantante in francese) ad esempio, nasce proprio in quel periodo, con l'affermarsi dello Spettacolo delle Varietà; solitamente si costruivano un passato ad hoc per rendere la loro presenza intrigante e maliziosa, parlavano con accenti stranieri ( francese, russo o spagnolo per lo più) per lasciar presupporre un esotismo che non apparteneva loro e millantavano storie d'amore con esponenti del jet-set (magari solo intravisti in platea).
 Tale figura resta radicata come carattere tipologico della napoletanità femminile, tanto da rientrare di diritto nello specchio di Napoli che fu il "Carosello Napoletano" di Giannini, interpretata da Sofia Loren.

 Gli spazi del Varietà erano sostanzialmente di tre tipi: i teatri di primo ordine, dove vi recitavano soltanto gli artisti di fama riconosciuta; i teatri di secondo o terzo ordine che potevano essere sale da caffè (caffè-concerto come il Gambrinus di Napoli) o teatri veri e propri ma molto popolari, ed infine tutti quei locali dove poteva essere allestito alla buona un palco.

L'ingresso era a pagamento e il successo di un artista lo decretava solo il pubblico in base al suo gradimento: come in una sorta di auditel rudimentale se l'artista veniva fischiato questo veniva "segnalato" su quella che poteva essere chiamata "fedina artistica" dell'artista con conseguente perdita di rispetto e prestigio.

Il varietà poi era molto differente a seconda della localizzazione geografica, proprio perché gli artisti attingevano molto alle proprie tradizioni, ma si strutturava per lo più in maniera simile:
lo spettacolo di Varietà raccoglieva più artisti, di varia abilità o bravura, ed i numeri presentati non avevano alcun legame tra loro, né tematico né concettuale.
Si passava dal mago indiano alla macchietta ( tra i tanti Nicola Maldacea inventore del genere, Ettore Petrolini e Nino Taranto ); dalla Sciantosa alle ballerine, più o meno attraenti e brave; dal fine dicitore al trasformista...

Mai insignito del titolo di Arte, a differenza delle altre tipologie teatrali, ebbe il suo riconoscimento quando nel 1913 Marinetti ne pubblicò il Manifesto, nel quale esaltava la novità di un tipo di teatro che rinnegava la verosimiglianza prediligendo al contrario la spettacolarità, il paradosso, l'azione e la praticità.

Per nulla tutelato dalle autorità, e vittima di ostracismo durante il periodo Fascista ( anche per il forzato ed imposto nazionalismo), il Varietà non muore, ma si modifica, si riorganizza in Rivista: soprattutto negli anni delle due guerre, il Teatro di Rivista rappresentava un modo per sognare, per distogliere il pensiero dalla crudeltà della guerra (come nel film "Polvere di stelle" con Monica Vitti ed Alberto Sordi), come quando le Soubrette si esibivano in spettacoli per le truppe inviate al fronte nella Grande Guerra ( si veda l' episodio di "Un giorno in pretura" con Silvana Pampanini).

Il Varietà-Rivista del secolo scorso è stato un ponte, un filo conduttore tra due secoli che si accavallavano e dovevano comunicare.
Il passaggio è stato brusco, poiché attraversato direttamente nel suo ventre dalle Guerre; e sebbene la ricostruzione architettonica, la questione degli alloggi, la democrazia del 1944-1948 siano di lunga pietre miliari molto più importanti, l' Italia è sempre fatta dagli italiani, e gli italiani ridevano con il Varietà prima, così come ora guardano Fiorello in televisione.

Il varietà non va visto come mero mezzo di divertimento, ma più che altro come traghetto culturale di tipologie, caratteri e caratteristiche dell'Italia a cavallo tra il Regno e la Repubblica.

Così come Eduardo faceva il verso a Ferdinando I di Borbone, Re lazzarone e dedito a condanne e tasse, ispirandosi a scritti e canzoni settecentesche scritte come arma di difesa, oggi vogliamo ridere del nostro tempo.

Rispolveriamo sciasse e gilet.
Riprendiamo piripisse e piume d'oca.
Ci infiliamo i nostri bustier, ci incipriamo bene il viso, e siamo in scena.

Preferiamo ridere. Anche per prendere tempo.
Ridere dei propri difetti, di un presente che è peggio del passato, non vuol dire prenderla meno seriamente.

"Chi chiagne fotte 'a chi ride", e chi fa il piccio, a Napoli, è di malaugurio...



Carmela Esposito

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